Ddl Lorenzin rimandato a settembre, ma il dibattito tra osteopati e altre categorie professionali non accenna a terminare: in ballo c’è il riconoscimento di queste figure, sempre più apprezzate dai pazienti italiani ma viste con malcelato sospetto da parte della medicina tradizionale.

 

Non è (ancora) una storia infinita, ma rischia di diventarlo; di sicuro, per ora è tema di accese discussioni, sia di stampo politico che, più in generale, tra modi diversi di intendere l’approccio medico sanitario. Parliamo del cosiddetto Ddl Lorenzin, ovvero del disegno di legge numero 1324, presentato nell’ormai lontano 2014 con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin come primo firmatario.

L’iter del Ddl Lorenzin

A distanza di oltre tre anni, lo scorso maggio questo disegno di legge è stato approvato dal Senato, dopo una votazione in cui sono stati presentati migliaia di emendamenti che hanno anche cambiato alcuni aspetti importanti delle norme che dovrebbero riorganizzare (o in certi casi rivoluzionare) vari settori della Sanità pubblica italiana, e che dovrebbero portare anche al riordino delle professioni sanitarie, uno dei temi più delicati e dibattuti.

Il riconoscimento degli osteopati

Uno dei nodi irrisolti, su cui sembra difficile trovare una sintesi anche a livello politico, è quello che riguarda il riconoscimento di osteopati e chiropratici come professioni sanitarie: se infatti sembra esserci un generale accordo politico nei gruppi di maggioranza, alla prova dei fatti restano aperte ancora molte questioni, come l’intenzione da parte del PD e di altri partiti di governo di evitare una sanatoria che aprirebbe le porte a “troppi” nuovi professionisti.  

Evitare la sanatoria

Una possibile soluzione sembrava essere la proposta di realizzare percorsi formativi uguali per tutti, come già accade per le altre professioni sanitarie, che avrebbero poi consentito di ottenere il riconoscimento. Finora, infatti, gli osteopati provengono da corsi molto diversi tra loro, proposti da vari enti e scuole specifiche, e dunque bisogna chiarire meglio i criteri per evitare discrepanze e soprattutto gestire al meglio la fase transitoria che deriverebbe dall’effettiva entrata in vigore delle nuove norme.

I percorsi di formazione ora attivi

Dal loro canto, gli osteopati spingono per il riconoscimento “tout court”, che appare “inevitabile” soprattutto per quanti seguono il percorso di formazione proposto dalle scuole di osteopatia italiane riconosciute dal Roi, Registro Osteopati Italiani, che prevede una formazione della durata di cinque o sei anni che si conclude con l’esame unico nazionale e la discussione della tesi di fronte a una Commissione esterna.

La posizione di chirurghi e fisioterapisti

Al contrario, sono chirurghi e fisioterapisti a guidare il fronte del “no” all’osteopatia: negli ultimi mesi è sorto un vero scontro totale tra i rappresentanti delle varie professioni, che non si sono lesinati accuse anche gravi. Ad esempio, in più circostanze questi professionisti “tradizionali” hanno sminuito il valore dell’osteopatia, facendo riferimento alla presunta mancanza di evidenze scientifiche comprovate e altre questioni piuttosto complesse e delicate.

La risposta (documentata) degli osteopati

È stato in particolare il citato Roi, con la presidente Paola Sciomachen in prima linea, a difendere colpo su colpo l’osteopatia dalle accuse, con interventi precisi che hanno ricordato il valore documentato di questa terapia alternativa: ad esempio, sulla questione delle evidenza scientifica ha sottolineato come sul sito PubMed, che raccoglie oltre 23 milioni di pubblicazioni scientifiche, siano indicizzati più di “8500 risultati rilevanti utilizzando la chiave di ricerca osteopathic medicine”.

Il dibattito va avanti

Ad accendere ulteriormente il fuoco è stato anche un emendamento del Ddl Lorenzin, che preveda la possibilità per laureati in fisioterapia o medicina e chirurgia di specializzarsi post-lauream in osteopatia, seguendo un percorso formativo ad hoc. Un’idea, che per il momento non ha avuto seguito, che ha raccolto il plauso di quelle categorie e la inevitabile levata di scudi da parte degli osteopati, che hanno interpretato questa strada come un “declassamento” della propria professione. Anche in questo caso la presidente Sciomachen ha fatto sentire la propria voce, stigmatizzando il tentativo con una sintesi molto netta, ovvero che “l’osteopatia non è più degli osteopati“. Ma la battaglia va avanti.

 

Per approfondire:

Terranuova, “L’osteopatia non è più degli osteopati

Tcio, informazioni sull’Osteopatia e corsi specializzati per la professione

Registro Osteopati Italiani, L’evidenza scientifica in osteopatia esiste